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"Nobili, meno nobili e briganti", Giuliano Menaldo presenta il suo libro a Vo' Vecchio

Domenica 10 giugno alle ore 18 a Villa Contarini Giovanelli Venier si svolge la presentazione del libro "Nobili, meno nobili e briganti" di Giuliano Menaldo, edito da Cleup.
Commento del prof. Paolo Coltro
Sarà presente l'autore

Si conclude con la pubblicazione di "Nobili, meno nobili e briganti" la trilogia che la fervida immaginazione di Giuliano Menaldo, coniugata ad una rigorosa passione storica, ha racchiuso in "Vo', il corpo e l'anima di un antico borgo veneziano".

Lo sfondo storico della trilogia

Nella seconda metà del '500 ser Alvise Contarini dei Tromboli era magistrato alle acque della Serenissima e responsabile delle bonifiche delle paludi a ovest dei colli Euganei (i Monti Padovani). Oltre che bonificare il territorio costruendo il Retratto di Lozzo, rendendo navigabile la Nina e allargando il Bisatto, il nobiluomo veneziano ha anche costruito Vo' (ora denominato Vo' Vecchio) con il suo nuovo porto. Dapprima il suo palazzo (Villa Contarini Giovanelli Venier), poi l'oratorio-chiesa di San Lorenzo, quindi le barchesse e per ultima la piazza con le "piccole procuratie" sulla falsariga di San Marco.
Attorno, nei secoli a venire, è cresciuto un paese (la villa di allora), un popolo di braccianti agricoli, priaroli, barcari, artigiani che si è sviluppato nel tempo fra povertà e miseria, epidemie di peste, colera e tifo, carestie, malaria e pellagra, mentre la nobiltà sembra passargli accanto solo tesa ai propri interessi economici e di bella vita (nelle loro case di "delizia" in Terraferma), fino allo sconvolgimento della caduta della Serenissima, quando la stessa tenta di riciclarsi alla corte dell'impero austro-ungarico.

Fra storia e fantasia, leggenda e tragica realtà, vita stenta e sofferenza contrapposte alla disinvolta nobiltà, la più spropositata ricchezza e la peggior miseria si contrappongono, dando vita al dipanarsi comunque di storie personali che stanno alla base delle nostre radici e della nostra vita attuale.
Nobiluomini di titolo e di fatto si alternano a briganti, lestofanti e fannulloni; nobildonne solo di titolo giocano a fare le cortigiane ma nello stesso tempo, altre dame di rango tengono salotti letterari e gestiscono immense proprietà terriere sull'aria della nuova libertà illuministica; intrallazzi e amori giocano liberamente tra nobiltà e plebe, senza distinzione se non di facciata, sullo sfondo di una Venezia decadente e comunque affascinante.
Il tutto mentre i villani tentano di arrancare verso una società di mezzo fatta di artigiani e cittadini che solo sembra permettere loro una vita migliore.

L'età industriale del primo Ottocento coglie tutti impreparati e se da un lato crescono i piccoli proprietari terrieri sul disfacimento della nobiltà, e le arti e le professioni come conquista sociale o decadenza nobiliare, dall'altro i soliti miseri non trovano di meglio che imboccare la via del brigantaggio, smorzato da Radetzky nel sangue. Quando verso il 1820, l'ultimo Contarini, ser Girolamo, vende Vigna Contarena di Este al ministro di Prussia conte Haugwitz, la nobiltà ha perso ormai ogni futuro e il patriziato veneziano si dissolve allora fra incapacità personale e sterilità matrimoniale, fino a vedere scomparire non solo il titolo nobiliare ma anche la casada così da esser costretto a vendere il patrimonio accumulato dagli avi per sopravvivere.
Con l'Unità d'Italia, infine, muoiono anche le ultime speranze del popolo, i sogni di miglioramento, e nell'impossibilità di sollevarsi socialmente ed economicamente, comincia la sua migrazione oltreoceano, in balia del suo destino sempre incerto. Il conte di Haugwitz, fattosi seppellire nella sua nuova residenza nobiliare, segna l'epilogo della casada dei Contarini-Tromboli-Scrigni ma anche, emblematicamente, quello dell'epoca Serenissima e, allo stesso tempo, sembra celebrare la liberazione del popolo, che cambia invece solo padrone.

Roberto Valandro dialoga con l'autore Giuliano Menaldo: "Nell'età del Romanticismo si era diffuso il modello del romanzo storico sviluppato attraverso le vicende di tre generazioni. Qui, nel sontuoso trittico di Giuliano Menaldo, il respiro s'amplia fino a coinvolgere due secoli, dalla metà del seicento alla metà circa dell'ottocento, quando in Venezia era cominciato da tempo il declino di una millenaria epopea. Il punto di vista dell'autore muove dalla minuscola storia di un piccolo luogo dei colli Euganei, Vo' Vecchio, dominato da stagni e vaste paludi, le acque morte, e segue passo passo il suo incredibile evolversi grazie alla famiglia patrizia dei Contarini. Sull'appartata scena compaiono via via gli abitanti accanto ai personaggi dell'epoca, uomini e donne che da Venezia colloquiavano con I'Europa intera, svelando costumi, mentalità, vizi e opere che, alla fine, si riflettevano nel chiuso universo rurale euganeo, Le pagine, scritte con l'eleganza di uno stile narrativo ormai maturo, si nutrono di fantasia tanto quanto sono basate su uno straordinario scavo archivistico, regalandoci I'avvincente affresco di un mondo che ci ha donato la rinnovata geografia fisica della Padovana bassa impreziosita da una regale corona di ville veneziane".


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