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“L’Italia in Sudan: tracce interculturali” convegno a Palazzo Wollemborg

“L’Italia in Sudan: tracce interculturali” è il titolo del convegno che si terrà martedì 4 aprile dalle ore 15 in Sala degli Specchi di Palazzo Wollemborg in via del Santo 26 a Padova e organizzato da Marina Bertoncin e Andrea Pase del Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova a cui si accompagna, nella stessa sede, la mostra fotografica e un’esposizione di libri e mappe del Dipartimento.

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Il convegno

La presenza di Amira Gornass, Ambasciatrice del Sudan in Italia, e di Fabrizio Lobasso, Ambasciatore d’Italia in Sudan, sottolineano l’importanza dell’appuntamento. Dopo il saluto di Marina Bertoncin, coordinatrice della Sezione di Geografia e di Giovanni Silvano, vice direttore del DiSSGeA, attraverso gli interventi di Alessandro Paccagnella, Prorettore alle Relazioni Internazionali, che spiegherà il ruolo dell’Ateneo di Padova in tutto il continente africano, quello di Renzo Guolo sul mondo islamico, e a seguire quello di Pierpaolo Faggi sulla lunga e importante storia dei accordi di cooperazione scientifica e didattica fra Padova e l’Università di Khartoum, si capirà la centralità del Sudan per noi italiani. Vi sarà inoltre la voce di realtà profondamente radicate nel Paese africano, come i Comboniani, con padre Celestino Prevedello, e Emergency, che gestisce un importante centro cardiochirurgico, con Rossella Miccio. Saranno presenti inoltre la Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo del Ministero degli Affari Esteri, con un saluto dell’Ambasciatore Pietro Sebastiani, e l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, con la referente per l’Africa Occidentale e Centrale, Mariarosa Stevan.

Nel corso del pomeriggio verranno presentati anche i progetti di ricerca in corso da parte dei geografi del DISSGeA e di altri studiosi del Dipartimento di Geoscienze. Il Sudan è un laboratorio di primario interesse perché ha sempre anticipato le dinamiche di cambiamento dei territori che si sono poi manifestate in altre aree del continente africano, in particolare nel Sahel. Il Sahel è un’ampia fascia latitudinale di terre poste tra il deserto del Sahara e le più umide zone sudanesi, che attraversa tutta l’Africa dall’oceano Atlantico fino al Nilo. Questa iniziativa nasce dall’incontro nel giugno scorso a Khartoum fra l’Ambasciatore Lobasso e il gruppo di geografi padovani, Marina Bertoncin e Andrea Pase, che conducono in questo momento studi in Sudan, in collaborazione con i colleghi dell’Università di Khartoum.

“In più di vent’anni di ricerche è stato attraversato tutto il Sahel, a partire dal Sudan per poi coinvolgere Mauritania, Senegal, Mali, Burkina Faso, Niger, Nigeria, Camerun, Ciad e tornare infine in Sudan” sottolinea la geografa Marina Bertoncin “al centro dell’interesse è l’uso di due risorse essenziali, l’acqua e la terra: fin dai tempi coloniali sulle rive dei fiumi saheliani sono stati costruiti grandi schemi irrigui, che dovevano innescare lo sviluppo agricolo della regione. Questi progetti hanno incontrato rilevanti difficoltà in realtà attanagliate da siccità, carestie, gravi crisi economiche e politiche. L’ultima frontiera sono gli imponenti investimenti su terre e risorse idriche da parte di imprenditori locali e stranieri. Oggi, i nostri progetti di ricerca sono focalizzati su questi nuovi investimenti in particolare nel Nile State, sulla Sugar Belt (schemi per la produzione della canna da zucchero) e sui cambiamenti in corso nello storico progetto della Gezira”.

“É a nostro avviso indispensabile, continua Andrea Pase, docente di Geografia storica “non limitare lo sguardo all’interno dei confini nazionali e allargarlo anzi ad una visione di insieme della regione. Infatti, per quanto oggi tali confini risultino spesso “interiorizzati” nelle dinamiche politiche e identitarie delle popolazioni saheliane, è indispensabile non rimanere intrappolati nel disegno delle loro maglie. Due ordini di motivi ci portano a non “restare nei limiti”. Innanzi tutto, perché quei confini sono un’eredità coloniale, sono linee tracciate dalle potenze europee nel processo di appropriazione delle terre africane, poco o nulla rispettose del “contenuto” territoriale, umano, culturale di quei “contenitori” così creati. In secondo luogo perché molti tratti della geografia e della storia unificano questa regione e solo uno sguardo complessivo permette di coglierne i lineamenti essenziali”.

“Dunque” concludono i geografi “il convegno e la mostra servono proprio per capire questa complessità”.


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