Cronaca

Detenuto del carcere di Padova si suicida: trovato impiccato in cella

Un 44enne leccese, condannato a oltre 20 anni per omicidio e sequestro di persona, è stato trovato morto giovedì sera. Recentemente si era sposato. Era stato interrogato sul giro di droga al Due Palazzi

Il carcere Due Palazzi di Padova

Poche ore prima era stato sentito dagli investigatori, in qualità non di indagato ma di persona informata sui fatti, nell'ambito dell'inchiesta su un traffico di droga tra le mura del carcere Due Palazzi che l'8 luglio scorso aveva portato all'arresto di un avvocato e 6 guardie penitenziarie in servizio nella struttura padovana. Giovedì sera, intorno alle 23, lo stesso detenuto, un 44enne leccese condannato a più di 20 anni per omicidio e sequestro di persona, è stato trovato morto nella sua cella.

IL BIGLIETTO. Secondo quanto si apprende, si è impiccato. L’uomo si trovava al Due Palazzi dal 2007 e occupava da solo la cella, aveva goduto di qualche permesso negli ultimi tempi e recentemente si era anche sposato. Proprio alla moglie ha indirizzato il biglietto in cui si scusa per il gesto estremo, trovato nella cella dagli inquirenti, in cui sottolineava i tanti anni di carcere che ancora lo attendevano (il termine della pena era fissato per gennaio 2024) e di conseguenza l'impossibilità di "garantirle un futuro insieme".

L'INCHIESTA. Nelle ultime settimane, il suo nome era comparso all’interno dell’inchiesta denominata "Apache" della squadra mobile di Padova. Sembra però escluso dagli inquirenti che il gesto possa essere la risposta alla paura di un aggravamento di pena. Ancora meno plausibile sembrerebbe il motivo legato al problema del sovraffollamento che purtroppo vede a Padova il triplo delle persone che la struttura potrebbe ospitare. Di fatto, il detenuto non doveva condividere la cella con altri.

L'AUTOPSIA. In carcere è intervenuta la squadra Mobile della questura euganea, coadiuvata dagli uomini della scientifica per i rilievi del caso. Il pm di turno, Giorgio Falcone, lunedì affiderà l'incarico al medico legale per l'autopsia sul cadavere, al fine di accertare quello che a un primo esame esterno per gli inquirenti si tratta senza dubbio di un suicidio.

L'OPERAZIONE "APACHE": Corruzione e spaccio in carcere - Le immagini del blitz e quelle che incastrano la guardia - Il direttore del carcere: "Vanno espulsi" - Il capo della Mobile: "Pensavano di poter comandare tutto il blocco del quinto piano" - Il questore: "Per un'operazione del genere non si può parlare di soddisfazione" - Il sindacato: "Polizia penitenziaria è istituzione sana che opera con professionalità e umanità"

IL DELITTO. Il 44enne è stato ritenuto l’autore del brutale assassinio di Maria Monteduro, medico di professione e con la vocazione per la politica: era assessore ai Servizi sociali di Gagliano del Capo, in provincia di Lecce. Era la notte fra il 24 e il 25 aprile del 1999. Maria Monteduro si trovava in servizio alla guardia medica. Venne trovata priva di vita nelle campagne nei dintorni di Gagliano del Capo, uccisa con un punteruolo. L'inchiesta che seguì e che durò diverso tempo portò all'arresto dell'uomo, all’epoca tossicodipendente. Altre due persone furono sospettate di favoreggiamento, ma il 44enne fu l'unico condannato. La ricostruzione minuziosa degli investigatori svelò che l’uomo (poi trasferitosi ad Alma Ata, in Kazakistan e qui scovato e arrestato), in stato di alterazione psichica, chiese aiuto alla dottoressa dopo essere stato picchiato da alcuni spacciatori. Lei, impietosita, lo riaccompagnò a casa, ma alcune parole di rimprovero verso il giovane (“pensa almeno a tua madre e a tuo padre”) scatenarono la sua rabbia incontrollata, che si trasformò in un orrendo crimine.


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