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Al dipartimento Icea la lezione dello scienziato che ha fermato le trivellazioni in Amazzonia

Per la prima volta in una paese produttore di petrolio, l'Ecuador, un referendum popolare ha sancito il divieto di trivellazioni nella parte ecuadoregna della foresta Amazzonica. Carlos Larrea Maldonado è uno degli scienziati che ha reso possibile questo risultato storico. Lunedì 4 marzo terrà una lectio magistralis all'Università

L'area del Parco nazionale Yasuní è considerata la più ricca di biodiversità

Quello del referendum in Ecuador che vieta le trivellazioni nella foresta Amazzonica è uno i quegli eventi che hanno un 'impatto che prescinde da dove accadono, perché effetti o benefici travalicano continenti e distanze. Per questo la presenza presso il dipartimento Icea dell'Università di Padova del professor Carlos Larrea Maldonado è qualcosa di speciale. Il docente è membro del Comitato Direttivo del Trattato per la Non-Proliferazione dei Combustibili Fossili (FFNPT) e Direttore dell'Area Ambiente y Sustentabilidad dell’Università Andina Simón Bolívar di Quito. C'è anche il suo impegno, il suo lavoro, nel percorso che ha portato i cittadini del paese latino americano a mettere in atto prima una campagna informativa e poi un processo che ha portato al referendum che vieta l’estrazione di petrolio all’interno di un’area del Parco Nazionale Yasunì. Parliamo di un percorso di anni che ha visto il coinvolgimento diretto anche delle stesse comunità indigene che vivono nella parte di foresta amazzonica dentro lo stato di Ecuador. Non è certo stato facile visto che proprio la foresta amazzonica è da sempre preda delle compagnie petrolifere, di chi estrae gas e chi deforesta senza limiti. 

La maggioranza della foresta (circa il 60%) si trova in Brasile; un altro 13% si trova in Perù, il 10% in Colombia e parti più piccole in Venezuela, Bolivia, Guyana, Suriname, Guyana francese e appunto l'Ecuador. Proteggere l'ultimo vero polmone verde del pianeta è per molti una priorità, ma non per tutti. In Ecuador è stata fondamentale l'azione dell'università Andina Simón Bolívar di Quito e del professor Larrea per convincere la popolazione che è più redditizio lasciare il petrolio e il gas sottoterra che devastare territori per trarre un guadagno immediato di cui beneficiano pochi e le cui conseguenze, devastanti, si ripercuotono invece su un numero molto più considerevole di persone. Già una ventina di anni fa il professor Larrea aveva creato relazioni con equipe di studiosi e ricercatori da tutto il mondo per collaborare a questo progetto atto a salvaguardare un'area così preziosa e allo stesso esposta ad azioni predatorie di ogni tipo. Un contributo importante in questo senso è arrivato dall'equipe del professor Massimo De Marchi che guida il gruppo di ricerca del Centro di Eccellenza sulla giustizia climatica (Dipartimento ICEA, Università di Padova) e del Master di II livello in GIScience  e SPR. Da subtio coglie la necessità di contribuire a questo percorso e coglie anche l'opportunità di mettere in campo tecniche al tempo pionieristiche e sperimentali. Negli anni Dieci si sono ripetute le spedizioni di ricercatori del dipartimento guidate dal professor De Marchi che sono state proprio nella foresta amazzonica ad esempio ad insegnare ai giovani indigeni della foresta come utilizzare i droni per mappare e allo stesso tempo vigilare sul loro stesso territorio. Progetto portato avanti dal professor Salvatore Pappalardo che proprio in questi giorni ha dato il via a uno dei rari corsi universitari in Italia sui "cambiamenti climatici e adattamenti negli ecosistemi e nelle società". In Ecuador sono stati poi anche altri studiosi e ricercatori, come il geografo Giuseppe Della Fera.

 

Il professor Larrea terrà una Lectio Magistralis lunedì 4 marzo presso l’Università di Padova proprio in occasione del corso tenuto dal professor Pappalardo. La sua presenza è una grande occasione per approfondire un tema come quello della crisi climatica in corso, in un momento in cui la guerra rompe equilibri geopolitici consoldati e rappresenta qualcosa in più di un rischio, ma una drammatica possibilità. Il professore lo abbiamo incontrato nella sede del dipartimento Icea al Portello. «Il 59% della popolazione ha votato a quel referendum. E stiamo parlando di un paese che produce petrolio, un risultato che non ha precedenti nel mondo», ci dice subito il professor Larrea. «Sono obiettivi, quello di salvare la selva amazzonica che sono di interesse globale ma che è fortemente minacciata». 

«L'area del Parco nazionale Yasuní è considerata la più ricca dal punto di vista delle biodiversità presenti, eppure è a rischio. Salvare anche un'area così preziosa emancipandoci dalle trivellazioni va nella direzione di una società più sostenibile e rispettosa dell'ambiente. E questo è un percorso che va messo in atto globalmente», rilancia il professore come a far intendere che quello del referendum è una tappa del percorso, non l'obiettivo ultimo.Prima di arrivare a Padova il professore ha partecipato con altri scienziati al primo incontro in presenza del comitato direttivo del FFNPT a Nairobi dove si è proprio affrontato il tema della transizione energetica. Non riusciamo a trattenerci dal porgli una domanda un po' impertinente, ma è successo anche da noi che l'espressione popolare attraverso il referendum ha deciso una cosa e poi invece se n'è fatta un'altra. Pensiamo al referendum sull'acqua, ad esempio, quello del 2011 dove con il quorum del 54% e il 94% dei sì, 27 milioni di italiani votarono per la gestione pubblica del servizio idrico. Ad oggi non c'è ancora una legge in questo senso e tutto è rimasto di fatto com'era. Chiediamo quindi al professore se il risultato del referendum viene poi davvero fatto rispettare dalle autorità. «La Costituzione ci dà ampie garanzie in questo senso», assicura Larrea. «Anzi, ora c'è una discussione in atto anche riguardo l'area di Yasuni che nasce comunque da un percorso popolare e condiviso.Questo è indice di un cambio di mentalità, anche nella politica». 

Chiediamo che percezione ha del lavoro che portano avanti studiosi e ricercatori di tutto il mondo rispetto agli interessi economici, ad esempio delle grandi compagnie. «La contraddizione, lo scontro, il conflitto, tra interesse economico e impatto sull'ambiente è amplificata in un contesto come quello amazzonico perché tutti comprendono che è fondamentale per salvare il mondo dalla crisi climatica. In Latino America la componente ambientalista è fortissima e trasversale, coinvolge direttamente anche le comunità indigene che vivono nella foresta amazzonica. E in questo momento il movimento che vuole salvare il polmone del mondo ha l'appoggio di capi di stato come il presidente Lula, in Brasile e Gustavo Petro in Colombia. E' la prima volta che si può stabilire una vera politica che può salvare la foresta amazzonica, una occasione da cogliere senza esitazioni». Prima di salutarlo non ci possiamo esimere da fargli un'ultima domanda relativa al tempo che stiamo vivendo, un tempo in cui la guerra è appunto una possibilità. Come si fa a far passare il concetto che bisogna affrontare la crisi climatica, cooperando tra paesi. «La guerra accelera la necessità di una transizione enegetica. Pensiamo all'Europa e al bisogno di gas russo, ad esempio. La guerra ha portato anche a una crisi petrolifera. Quindi anche economicamente trovare altre strade dal punto di vista energetico sarebbe la cosa più logica», risponde Larrea. «In tempi come quelli che stiamo vivendo si corre il rischio di conflitti sociali sempre più diffusi. Ci sono maggiori tensioni, minori possibilità di trovare soluzioni», ci dice con tono realista. «Ma la necessità di tutti, la vera urgenza, è affrontare la crisi climatica. Se non lo salviamo il pianeta che abitiamo, in cento anni, questo diventerà invivibile per l'essere umano. Bisogna bbandonare i combustibili fossili, in particolare in petrolio»


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